Intelligenza artificiale e video ADV: l’inizio di un nuovo paradigma?

Intelligenza artificiale e video ADV: l’inizio di un nuovo paradigma?

L’intelligenza artificiale è entrata anche nel mondo degli spot pubblicitari, passando dalla gestione alla creazione dei contenuti. In pochi mesi, campagne video realizzate interamente tramite AI hanno dimostrato che produrre spot è oggi molto più veloce, economico e accessibile. Ma se gli strumenti cambiano, cambiano anche le regole del mercato. (immagine in copertina: un frame dello spot di lancio di Google Veo 3, al momento lo strumento AI più utilizzato per realizzare video ADV)

Il legame tra intelligenza artificiale e marketing è sempre più solido

L’uso dell’intelligenza artificiale nel marketing non è nuovo. Anzi, ormai non fa nemmeno più notizia. Da anni, Meta, Google e Amazon impiegano algoritmi per ottimizzare la distribuzione degli annunci. La novità sta nell’ingresso dell’AI nella fase creativa: oggi è in grado di generare contenuti visivi, video e script pubblicitari su richiesta.

Mark Zuckerberg ha descritto questa svolta come una “ridefinizione della categoria della pubblicità”. La sua Meta, infatti, prevede di lanciare strumenti di AI generativa per inserzioni entro il 2026, mentre Amazon ha già introdotto generatori video testuali per i suoi venditori.

L’annuncio ha acceso l’attenzione del settore: la pubblicità automatizzata non è più una suggestione futuristica, ma un orizzonte operativo a breve termine. Per molti, una rivoluzione da cavalcare. Per altri, una minaccia.

Intelligenza artificiale

Cosa cambia per i piccoli inserzionisti?

A trarre vantaggio immediato dalla pubblicità AI-generated sarebbero le piccole aziende. Chi prima non poteva permettersi uno spot video può ora produrlo con budget ridotti, senza troupe, set o post-produzione tradizionale.

La combinazione tra velocità, economicità e accessibilità sposta il baricentro: invece di puntare su una campagna unica e costosa, sarà possibile testare più versioni, più spesso, con più idee. L’AI democratizza la produzione, ma ridefinisce anche le regole del gioco.

È qui che emerge un punto cruciale: l’intelligenza artificiale non dovrebbe sostituire il pensiero creativo umano, ma potenziarne le capacità. Le agenzie e i professionisti che sapranno integrare questi strumenti nei loro processi resteranno centrali. Il rischio non è l’AI, ma ignorarla.

 

Uno spot AI alle NBA Finals: il caso Kalshi

La pubblicità realizzata per Kalshi — piattaforma che consente di scommettere su eventi del mondo reale — è diventata il simbolo di questa transizione. Lo spot, trasmesso su YouTube TV durante gara 3 delle NBA Finals, è stato prodotto interamente con strumenti di intelligenza artificiale da un unico creator: il filmmaker PJ Accetturo.

L’obiettivo del brand era chiaro: catturare l’attenzione in modo non convenzionale. E il risultato è stato all’altezza. In 30 secondi si susseguono scene surreali: un alieno che beve birra, un contadino in una piscina di uova, una signora in tuta rosa alla guida di uno Zamboni. L’effetto è volutamente assurdo, iper-stimolante, e perfettamente in linea con il ritmo visivo richiesto dai social.

Accetturo ha utilizzato Veo 3 di Google per generare oltre 300 clip AI in due giorni, da cui ha selezionato le 15 più efficaci. Lo script è stato scritto insieme a ChatGPT e Gemini, e il montaggio completato in autonomia. Costo totale: meno di 2.000 dollari, una frazione infinitesimale rispetto a uno spot televisivo tradizionale.

Il risultato? Una viralità immediata: oltre 3 milioni di visualizzazioni in pochi giorni e un’ondata di buzz sui social. Ma soprattutto, un precedente forte: uno spot AI entrato nel prime time, durante uno degli eventi sportivi più visti d’America.

Un’estetica tutta nuova: virale, surreale, iper-rapida

Una delle implicazioni meno discusse dell’intelligenza artificiale nella pubblicità video è il cambiamento del linguaggio visivo. Gli spot AI-generated non cercano la verosimiglianza: puntano sull’assurdo, sul ritmo frenetico, sull’impatto emotivo istantaneo.

Il caso Kalshi lo dimostra. L’obiettivo non è tanto informare quanto far parlare di sé, sfruttando un’estetica nativa dei social: quella dei meme, dei video nonsense, dei format virali. È una pubblicità che non si prende troppo sul serio, ma che colpisce, si fa notare, si condivide.

Questo stile potrebbe non sostituire le produzioni tradizionali dei grandi brand, ma è pronto a colonizzare tutto il sottobosco del digital advertising, dove l’attenzione conta più della coerenza narrativa.

Conclusione: una rivoluzione che non si può ignorare

L’intelligenza artificiale sta cambiando le regole del gioco anche nella pubblicità video. I segnali sono chiari: prodotti più veloci, più economici, più testabili. Ma anche più instabili, più impersonali, più difficili da controllare.

L’AI è uno strumento, non una soluzione totale. Le agenzie e i professionisti che sapranno usarla come leva creativa — non come scorciatoia — potranno guadagnare in efficienza senza perdere in originalità. Gli altri rischiano di restare indietro, travolti da una produzione automatizzata che non distingue più tra contenuto e rumore.

Il futuro della pubblicità video, in poche parole, sarà come sempre di chi saprà interpretare il cambiamento prima che lo facciano gli altri.

Ma non è tutto per questa settimana:

L’ingresso dell’Ai nel mondo degli spot pubblicitari non è l’unica novità che sta scuotendo il mondo digitale questa settimana. Ecco altre quattro news imperdibili:

  • Pubblicità su WhatsApp, anzi no: Niente spot nell’app di messaggistica più usata d’Europa, almeno fino al 2026. L’UE prende tempo e accende i riflettori sulla privacy, mentre WhatsApp prepara il terreno e rassicura: le novità arriveranno, ma con calma.

  • Cloudflare contro l’IA “affamata” di contenuti: Gli editori si alleano con Cloudflare per difendere le proprie pagine web dagli scraper delle intelligenze artificiali generative. Una nuova barriera tecnologica per proteggere il valore delle notizie online.

  • Il MIT lancia l’allarme: ChatGPT e IA fanno male al cervello? Uno studio rivela che l’uso intensivo di chatbot può ridurre memoria e pensiero critico, soprattutto tra gli studenti. L’intelligenza artificiale, tra supporto e rischio di “atrofia cognitiva”.

  • Il misterioso device di OpenAI e Jony Ive fa discutere: Nuovi documenti svelano che OpenAI sta lavorando con il designer dell’iPhone a un dispositivo AI tutto da scoprire. Non è un wearable, non è un auricolare: il gadget segreto promette di rivoluzionare il nostro rapporto con la tecnologia

Restate connessi per scoprire come queste novità cambieranno il panorama digitale!

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